Onorevoli Colleghi! - Sin dalla sua nascita, uno degli obiettivi strategici della Repubblica è stato quello di dare soluzione alla questione meridionale, e cioè alla fondamentale opera di riequilibrio economico e sociale delle regioni del sud rispetto al resto del territorio nazionale.
      Un impegno che cominciò ad essere concretamente sostenuto attraverso l'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e la predisposizione di un crescente numero di strumenti finalizzati all'obiettivo del rilancio dello sviluppo e al conseguente incremento dei livelli occupazionali.
      Il fallimento della Cassa per il Mezzogiorno e la sua conseguente soppressione, contemporaneamente all'avvio di una serie di nuovi sostegni alle politiche per il riequilibrio, fecero gridare con entusiasmo alla svolta nelle politiche per il sud, e con grande speranza si guardò all'avvio di una metodologia nuova e, almeno si riteneva, capace di aggredire i nodi che avevano impedito in passato la riuscita delle precedenti fallimentari strategie.
      Che i fatti non abbiano confermato tali aspettative è davanti agli occhi di tutti.
      Ma perché tutte le politiche avviate in questi cinquant'anni per il riequilibrio delle aree depresse e, in particolare, del Mezzogiorno sono fallite? È solo causa di una gestione rivolta più al sostegno delle «fameliche» clientele che allo sviluppo di una sana classe imprenditoriale, o piuttosto alla quasi totale assenza di strategie per lo sviluppo virtuoso dei territori? Ovvero

 

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alla mancata realizzazione di quelle condizioni strutturali e infrastrutturali che rendono oneroso e antieconomico e, quindi, scarsamente competitivo, ogni investimento produttivo nel Mezzogiorno? O, ancora, altre e più profonde ragioni che comporterebbero analisi e approfondimenti molto più attenti e incisivi? Qualunque sia la causa, appare chiaro che se non si riesce a rispondere a questa domanda appare realmente difficile, se non impossibile, trovare idonee soluzioni, capaci di una effettiva inversione di tendenza.
      Da qui l'esigenza di dare luogo a una indagine approfondita e attenta sul mancato raggiungimento degli obiettivi delle politiche per il riequilibrio territoriale, istituendo un'apposita Commissione parlamentare di vigilanza.
      La presente proposta di legge va in questa direzione. Viene infatti proposta l'istituzione di una Commissione parlamentare bicamerale permanente di vigilanza sulle politiche di coesione territoriale, con lo scopo di monitorare, verificare e accertare l'efficacia delle politiche adottate per il riequilibrio economico delle aree sottoutilizzate, oltre che per il perfezionamento degli strumenti relativi all'incentivazione dello sviluppo economico e dell'occupazione.
      Una Commissione, composta da venti senatori e da venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in rappresentanza di tutti i gruppi parlamentari in proporzione alla loro consistenza.
      Compito precipuo della Commissione è di valutare se le leggi, le deliberazioni degli organi di governo, le misure adottate e gli strumenti di intervento utilizzati per l'attuazione delle politiche di riequilibrio hanno realmente conseguito i risultati sperati, se, qualora tali obiettivi non siano stati raggiunti, possono conseguirli con l'adozione di eventuali correttivi e, soprattutto, quale incidenza in termini di miglioramento del contesto economico, delle attività produttive e dei livelli occupazionali hanno concretamente determinato.
      Una particolare attenzione la Commissione dovrà soprattutto rivolgerla alla individuazione e all'adozione di strumenti per misurare i risultati delle politiche di riequilibrio. È questo, infatti, uno dei nodi che impediscono di capire fino in fondo la validità delle strategie adottate.
      Appare infatti difficile da accettare, ma la vera anomalia di cinquant'anni di politiche fallimentari per il Mezzogiorno è l'inesistenza di strumenti capaci di misurare la reale incidenza delle azioni adottate. È, quindi, proprio su questo versante che la Commissione deve dare il suo fondamentale contributo, per dotare il Paese di strumenti per misurare l'effetto di qualsivoglia attività, decisione, stanziamento o intervento finalizzati al riequilibrio territoriale.
      Le politiche per il riequilibrio, a tutt'oggi, si limitano infatti all'adozione degli strumenti o misure di intervento e alla determinazione dell'entità dello stanziamento, mentre nessun organismo, né pubblico né privato, è in grado di dare un giudizio a posteriori né sulla efficacia dei singoli strumenti né, tanto meno, sulla incidenza di ciascuno di essi e complessivamente sul contesto socio - economico oggetto degli interventi.
      Ecco perché da decenni le politiche per il riequilibrio sono sterili, se non fallimentari, e si assiste alla continua invenzione di sempre nuovi strumenti di intervento (sono oltre un centinaio), che si aggiungono ai precedenti, senza il coraggio e la capacità di decidere quali siano quelli da eliminare, perché inefficienti, e quelli invece da sostenere e quindi da incrementare.
      La stessa istituzione del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), costituisce una salomonica «soluzione tampone» che, come spesso capita nella politica italiana, concepita come temporanea è rimasta una misura definitiva.
      Il FAS, infatti, è un modo per finanziare gli strumenti di intervento più efficienti, definanziando di fatto quelli che lo sono meno, attraverso decisioni del Comitato interministeriale per la programmazione economica che, in compenso, non ha
 

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strumenti per misurare l'efficacia delle politiche adottate.
      In effetti, se è meritevole il ricorso a uno strumento di finanziamento elastico come il FAS, è altrettanto vero che sarebbe molto più corretto procedere con una delegificazione delle misure rivelatesi inefficienti e con un rilancio di una strategia più chiara sul terreno dei sostegni allo sviluppo, per offrire una maggiore trasparenza agli investitori. Una strategia di intervento che non si basi più sullo stanziamento senza verifica ma, al contrario, abbia la capacità di verificare la conoscenza degli strumenti, del loro funzionamento e della loro effettiva ricaduta nel contesto economico e produttivo, per verificare se le azioni per la gemmazione di attività d'impresa riescono ad attecchire e a creare le condizioni per un progressivo avvio di un tessuto produttivo in grado di rivitalizzare le aree sottoutilizzate.
      Un'azione, quindi, quella della Commissione, finalizzata, oltre che al monitoraggio, anche alla proposta, per fornire al Parlamento gli strumenti di conoscenza idonei all'adeguamento delle norme preposte alle politiche per il riequilibrio e la coesione delle aree sottoutilizzate.
      Date la strategica valenza dell'attività della Commissione e l'esigenza di non remorare con ulteriori ritardi l'assunzione di iniziative essenziali al rilancio produttivo e occupazionale del Mezzogiorno e delle aree sottoutilizzate del centro - nord, si raccomandano l'urgente esame e l'approvazione della presente proposta di legge.
 

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